La rivoluzione digitale è tale perché la tecnologia è divenuta un ambiente da abitare, una estensione della mente umana, un mondo che si intreccia con il mondo reale e che determina vere e proprie ristrutturazioni cognitive, emotive e sociali dell’esperienza, capace di rideterminare la costruzione dell’identità e delle relazioni, nonché il vissuto dell’esperire.
Tonino Cantelmi
Da sempre l’avvento delle tecnologie ha influenzato la vita dell’uomo. Oggi più che mai, viviamo in una società dominata dalla tecnologia e ognuno di noi dovrebbe imparare a farne uso consapevolmente, cosa che spesso, purtroppo, non avviene.
La scuola ha dovuto fin da subito fare i conti con l’evolversi delle tecnologie, integrandole nella didattica.
Prensky, indicando i giovani nati a partire dal 1995 con il termine nativi digitali, opera una distinzione tra: destrezza tecnologica, saggezza tecnologica e stupidità tecnologica. Ecco, bisogna evitare che la stupidità tecnologica cresca, perché questa comporta un uso scorretto dei dispositivi tecnologici, per cui un ragazzo può fare del male agli altri (si vedano i crescenti casi di cyberbullismo) e a se stesso (sostituire relazioni reali con quelle in rete, dipendenza da social e smartphone, ricercare testi già pronti evitando di elaborare in modo personale un argomento ecc..).
È importante, invece, divenire dei “saggi digitali”, e aiutare i giovani ad interagire con gli strumenti tecnologici in modo che questi possano produrre conoscenza, e non ostacolarla. Sappiamo che il cervello è plastico, il che significa che è in grado di modificare le sue strutture in base agli input che riceve.
Il modo di elaborare le informazioni, le competenze cognitive, emotive, sociali dei nativi digitali differiscono molto da quelle delle generazioni precedenti. Se siamo d’accordo con l’idea di Bruner per cui la cultura modella la mente, allora i ragazzi di oggi, immersi fin dalla nascita nelle tecnologie e per questo abilissimi nell’usarle, manifestano una maggior capacità di pensiero parallelo, una maggior capacità di multitasking, una miglior memoria visuo-spaziale e una capacità di reagire più velocemente agli stimoli.
Parallelamente però, si registra nella nuove generazioni un tendenza a volere tutto e subito, con la conseguente difficoltà a tollerare la frustrazione e il fallimento (inevitabile nel processo di apprendimento). C’è, inoltre, nella ricerca di informazioni, una tendenza a fermarsi in superficie, senza lo sforzo di porsi ulteriori domande per approfondire, o di confrontare quell’informazione con altri sistemi di pensiero. Inoltre vi è una scarsa tendenza alla riflessione.
La tecnologia non è quindi in assoluto qualcosa di positivo o negativo. Tutto dipende dall’uso che ne viene fatto.
Nell’introdurre le tecnologie all’interno del suo sistema, la scuola (e non solo!) ha il delicato compito di educare i giovani ad approcciare ad esse in modo consapevole e costruttivo, per far sì che la tecnologia sia al servizio dell’evoluzione umana, e che quindi sostenga l’apprendimento invece di comprometterlo.
Ricordiamoci che è l’uomo che deve usare la tecnologia con lo scopo di migliorare la sua vita.
Altrimenti sarà la tecnologia ad usare l’uomo, peggiorandone la condizione esistenziale.