Psicologia

Neuroscienze: parola nuova, scienza antica!

Scritto da Isabella Lipperi

“Uomo conosci te stesso” .

Si poteva leggere all’entrata del tempio di Delfi, in Grecia.

Sembra che l’uomo, in ogni epoca e cultura, abbia sempre desiderato indagare la propria natura. Come avviene la percezione? Come posso udire, toccare, vedere, annusare e gustare? Perché penso e cosa sono i pensieri? Cos’è un ricordo? In quale parte del corpo hanno sede la memoria, la percezione, la coscienza, l’emozione?

Con gli strumenti e le conoscenze a sua disposizione, l’essere umano ha tentato fin dall’antichità di rispondere a queste e ad altre domande, con lo scopo di svelare il mistero della mente e del comportamento, dando luogo a innumerevoli teorie che hanno contribuito, secolo dopo secolo, alla nascita delle attuali neuroscienze ( l’insieme delle discipline scientifiche che studiano il cervello e i meccanismi che determinano il comportamento).

Partiamo quindi dall’inizio…

I nostri antenati preistorici, ben 7000 anni fa, avevano già inuito quanto il cervello fosse di cruciale importanza per la vita. Eseguivano, infatti, rudimentali operazioni chirurgiche, trapanando i crani delle persone ancora vive nel tentativo di curarle da disturbi mentali.

I medici dell’Egitto furono presto in grado di individuare i sintomi legati ad un danno cerebrale. Tuttavia, per questi antichi “neuroscienziati”, il cervello era un organo di poco valore mentre il cuore, sede del pensiero e dell’anima, era di importanza vitale. Basti pensare alla pratica della mummificazione durante la quale il cervello del defunto veniva estratto e gettato via.

Fu Ippocrate (460- 379 a.C.), padre della medicina moderna, a restituire al cervello la sua centralità, superando così la visione cardiocentrica precedente. Egli affermò che le emozioni, la conoscenza, il discernimento di ciò che è buono da ciò che è cattivo, la saggezza e la follia, derivassero solo ed esclusivamente dal cervello.

Le teorie di Ippocrate furono riprese da Galeno (130-200 d.C.) il quale considerò il cervello la sede del pensiero. Questo medico romano eseguì moltissime dissezioni di cervelli, individuando in essi due strutture costitutive: il cervelletto e l’encefalo. Inoltre, si rese conto che tale organo presentava spazi cavi, chiamati ventricoli, e che questi spazi contenevano un fluido: il bilanciamento dei quattro fluidi vitali, o umori, regolava il funzionamento del corpo. Attraverso il fluido dei nervi sensoriali (considerati tubi vuoti), il cervello riceveva informazioni dall’ambiente, mentre attraverso quello dei nervi motori generava il movimento volontario. Questa teoria ebbe un notevole successo, tanto da sopravvivere per ben 1500 anni.

Una più ricca e minuziosa descrizione della struttura del cervello emerse grazie agli studi di Andrea Vesalio (1514-1564), considerato il padre dell’anatomia moderna, il quale dissezionò ed osservò numerosi cervelli, riuscendo a disegnare i ventricoli in modo molto preciso e anatomicamente corretto. La teoria fluido-meccanica da lui proposta (dove il cervello funzionava come una macchina che pompava i fluidi attraverso i nervi, generando così il movimento del corpo) sopravvisse fino al diciassettesimo secolo. Cartesio (1596-1650) fu uno dei più grandi sostenitori di tale teoria.

Le ricerche proseguirono per tutto il diciassettesimo e diciottesimo secolo. Alla fine del 1700 si disponeva di un vasto materiale circa l’anatomia macroscopica; si era a conoscenza della divisione del sistema nervoso in porzione periferica (nervi) e centrale (cervello e midollo) e della ripartizione in lobi del cervello.

Anche il 1800 fu un secolo fecondo per la ricerca scientifica. Lugi Galvani ed Emilio du Bois-Reymond dimostrarono come i nervi trasportavano impulsi elettrici invece che fluidi.

Cominciò a farsi strada l’idea che funzioni specifiche fossero collegate ad aree diverse del cervello. Fu Paul Broca (1824-1880) uno dei primi scienziati a fornire prove del concetto di localizzazione delle funzioni nel cervello. Egli studiò il caso di un paziente che non era in grado di produrre linguaggio, pur riuscendo a comprenderlo. A seguito della sua morte, Broca eseguì una dissezione, riscontrando una lesione nel lobo frontale sinistro e dimostrando, quindi, che questa area era responsabile della produzione del linguaggio parlato.

Un’altra teoria molto importante per la nascita delle neuroscienze fu quella dell’evoluzione di Charles Darwin (1809-1882). Secondo il biologo inglese, tutte le specie derivano da antenati comuni ma si differenziano le une dalle altre attraverso il processo di selezione naturale. Gli essere viventi sono sottoposti, generazione dopo generazione, a graduali cambiamenti. Solo coloro che possiedono le caratteristiche necessarie ad adattarsi all’ambiente, possono sopravvivere e riprodursi. Anche il nostro cervello, quindi, è il frutto di una storia evolutiva.

Grazie all’invenzione del microscopio e di altri strumenti che permisero di analizzare il cervello a livello microscopico, vennero fatte nuove scoperte. Fu, per esempio, individuata la sua unità funzionale: il neurone.

Solo nel 1970 nacque la ” Society for Neuroscience”, la più grande organizzazione neuroscientifica dove, ancora oggi, ogni anno, tantissimi professionisti del settore si riuniscono.

Vediamo quindi come, nonostante il termine neuroscienze abbia un’origine recente, tale “scienza del cervello” sia in realtà molto antica.

E proprio come fecero i nostri antenati, i medici egizi, quelli romani e via di seguito, anche i neuroscienziati attuali continuano ad indagare la natura del cervello e i meccanismi sottostanti al comportamento, potendo però oggi rispondere, con maggior chiarezza e scientificità, a molte di quelle domande che fin dall’antichità l’uomo si è posto.

Autore

Isabella Lipperi