Psicologia

Trauma e Disturbo Post Traumatico da Stress

Scritto da Cristiana Gallo

Le prime reazioni umane dinanzi ad un pericolo sono sempre istintive e, solo in un secondo tempo diventano, cognitive. I tre piani d’azione istintivi, della lotta, della fuga e dell’immobilità, sono parte del funzionamento biologico e innato di tutti gli esseri umani.

Quando un pericolo viene percepito, la prima risposta del corpo e della mente è quella di entrare in uno stato detto di risveglio/attivazione. I muscoli si tendono e cominciamo a cercare la causa di un possibile pericolo. Individuato il pericolo si verifica l’entrata nello stato di mobilità. Il corpo e la mente iniziano a produrre l’adrenalina e il cortisolo, per fornire l’energia necessaria alla lotta o alla fuga. Con il corpo caricato dall’attivazione del sistema attacco-fuga, è possibile portare a compimento un’azione difensiva che consente di scaricare l’energia e di ristabilire l’omeostasi riportando il corpo e la mente ad uno stato di equilibrio.

Ogni volta che l’allarme psicocorporeo in risposta ad uno stimolo minaccioso oltrepassa la soglia soggettiva di tolleranza, si verificano difficoltà nel controllare la reazione comportamentale e nell’organizzare percettivamente tutti gli aspetti di una data situazione in modo da poter valutare le alternative possibili.

Può essere interessante considerare due specifiche risposte dell’organismo dinanzi al pericolo. La prima è la sensibilizzazione, ossia l’abbassamento della soglia di tolleranza rispetto alle situazioni che potenzialmente generano paura, in tal caso aumenta la vigilanza e si è in uno stato costante di allerta che distorce la percezione e fa considerare pericolosi anche gli stimoli che non hanno carattere di pericolo. La seconda risposta è l’assuefazione che permette all’organismo di difendersi quando un pericolo si protrae nel tempo. Qui la soglia di tolleranza rispetto agli stimoli minacciosi viene innalzata poiché, permanere in uno stato di allarme costante, comprometterebbe altre funzioni. In casi estremi, assuefarsi ad uno stato corporeo che prevede l’attivazione della fase di allarme, permette la sopravvivenza in situazioni estreme e nella norma considerabili come insostenibili.

Qualunque stimolo di carattere minaccioso connette l’individuo all’emozione della paura. Laddove non sia attuabile una risposta di fuga o di attacco l’eccitazione a cui è sottoposto l’organismo si blocca nella schiena e nel collo, le spalle si alzano, la testa viene portata indietro e gli occhi si fissano ed immobilizzano in posizione sbarrata. L’immagine del cane con la coda in mezzo alle zampe e con le zampe tese e pronte per la fuga risulta esemplificativa di ciò che avviene al corpo sotto l’influsso della paura, mentre gli occhi sbarrati richiamano chiaramente allo stato del terrore.

Quando, infatti, si viene sopraffatti dall’evento minaccioso e si è nell’impossibilità di lottare o di fuggire, istintivamente ci si ritrova ad attuare una reazione d’irrigidimento, la cosiddetta immobilità. Quest’ultima estrema difesa può sortire sia l’effetto di disinteressare l’aggressore offrendo l’ultima possibilità per attuare una fuga, sia una salvaguardia dal dolore, poiché si entra in uno stato anestetizzante, dove la coscienza abbandona il corpo attuando il meccanismo della dissociazione, che tutela dall’eventuale dolore in caso l’aggressione continui.

Trovarsi nella posizione di chi è costretto, alla fine del processo psicocorporeo attivatosi, a subire l’attacco e l’aggressione dell’altro, significa non poter portare a termine nessuna risposta comportamentale e, di conseguenza, significa anche l’essere costretti a perdurare in uno stato di conflitto che è tanto psichico quanto corporeo.

Più gli attacchi e le violenze si ripeteranno nella storia dell’individuo, più si andranno ad incistare nella sua personalità, minando il senso della padronanza di sé e l’autopercezione della propria sanità mentale.

In tali situazioni si ha la possibilità, attraverso meccanismi di difesa il più delle volte primitivi e poggianti sulla matrice dissociativa di conservare intatte alcune parti del Sé, di evitare l’angoscia; ma l’angoscia evitata attraverso le difese continuerà ad agire, sconnessa dallo stimolo che l’ha originata, come paura generica di diventare pazzi perdendo il controllo.

Si parla a tal proposito di ansia libera o ansia allarme, generata dalla impossibilità di scelta della risposta consumatoria, come pattern misto. Tale ansia si correla ad uno stato di eccitazione dell’organismo inquadrabile sull’asse dell’emozione paura, ossia dell’eccitazione psicocorporea prodotta dallo stato di allarme. Al crescere dell’eccitazione cresce infatti anche la paura e, a tutti i possibili gradi di paura, corrisponde il comportamento di immobilizzazione che a sua volta corrisponde con l’impossibilità di scelta. La paura che cresce e non trova liberazione nell’espressione comportamentale si trasforma sempre in angoscia o terrore.

Il superamento della soggettiva finestra di tolleranza avrà sempre effetti disfunzionali: gli stati di attivazione psicocorporea che superano la tollerabilità genereranno pensieri e comportamenti disorganizzati.

Alcune persone con vissuti traumatici rimarranno in uno stato cronico di iperattivazione, altre di ipoattivazione e più spesso oscilleranno tra un estremo e l’altro.

Ogni volta che il corpo non può scaricare l’energia accumulata da un’intensa attivazione verranno cercate delle compensazioni; queste ultime trovano la loro espressione in contrazioni muscolari senza l’opportuno rilascio. Più un corpo sarà sottoposto ad un meccanismo di impossibilità di rilasciare l’energia relativa ad un’attivazione, più le contrazioni muscolari diverranno croniche.

Le contrazioni muscolari croniche interesseranno tutto il corpo andando ad intaccare direttamente anche la respirazione, che ha sempre un legame diretto con gli stati sia di eccitazione che di inibizione psicocorporea. L’individuo calmo ha un respiro regolare e lento, mentre  sotto l’influsso di emozioni forti il respiro diviene rapido. Nel caso della paura si ha un respiro a scatti o trattenuto, comunque sempre, per tutti i gradi dell’emozione, poco profondo. La funzione assolta da una respirazione ridotta è sempre quella di non sentire l’emozione.

Ad esempio, nei casi in cui si prova terrore l’inspirazione diviene debole e il torace si mantiene in posizione espiratoria, tutto il sistema muscolare si paralizza, lo sguardo si ritira all’interno, tutto il corpo con le sue funzioni subisce uno shock e si spegne. Il respiro è ridotto al minimo e a tratti cessa del tutto. Oppure, nei casi in cui si prova panico e tutto il corpo è in stato di allarme, l’inspirazione è maggiore rispetto al solito perché deve consentire l’energia necessaria all’attacco o alla fuga, mentre l’espirazione diminuisce, la gola si chiude, l’ossigeno viene trattenuto poiché serve per l’azione.

La reazione al trauma funziona nello stesso modo, ossia, più nell’individuo verrà attivata la condizione di esperire episodi in cui si è costretti nello stato di immobilizzazione, più le difese dissociative diverranno una caratteristica pervasiva e permanente, attivabile anche da eventi o azioni di minore e non oggettivo pericolo.

Sono i casi in cui il trauma diviene una realtà pervasiva nella vita della persona.

Autore

Cristiana Gallo

Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi del Lazio con il numero 15468. Psicoterapeuta ed Analista Bioenergetica specializzata in Psicoterapia Individuale e di Gruppo. Grafologa.
Conduttrice di Esercizi di Bioenergetica e Insegnante Yoga.