“Il coraggio non mi manca. E’ la paura che mi frega.”
Totò
La paura e la collera sono emozioni diametralmente opposte sia nella loro espressione comportamentale che nella tipologia di movimento corporeo ed energetico.
Nell’espressione comportamentale la paura si concretizza nella fuga, il movimento corporeo è teso nel far arretrare il corpo dalla fonte del pericolo e il flusso energetico si muove verso la parte bassa del corpo tant’è che anche la vista si offusca. Nella collera tutto ciò si esprime, all’opposto, nell’attacco, il corpo aggredisce la fonte del pericolo e il flusso energetico si muove verso l’alto, in questo caso la vista si acutizza.
Mettere in relazione la paura e la collera va ben oltre la possibilità di descrivere le due emozioni, infatti, queste sono pensabili come gli estremi opposti di un continuum di cui il punto centrale è la componente anticipatoria di entrambe le emozioni rispetto al dolore.
Quando ci si trova dinanzi ad una minaccia di dolore si può scegliere di lottare o di fuggire e questo dipende dalla situazione e dalla propria storia personale. Se in alcuni casi, a fronte di un pericolo, prevale la paura con la cautela che spinge al ritirarsi, in altri casi si lotta e si da espressione alla collera. Comunque accade sempre che, dove l’Io della persona è identificato con le sensazioni del corpo, è l’Io a garantire sia la possibilità di fuga dal pericolo, che un elemento di razionalità per la collera affinché sia sotto controllo cosciente.
Ci sono tuttavia situazioni che non lasciano possibilità di scelta e fanno sentire l’individuo in trappola. Tali situazioni si vengono a creare quando l’Io della persona è meno identificato con le sensazioni del corpo, così accade che la collera può venire sfogata senza mediazione da parte dell’Io mentre la paura può straripare nel panico.
Le cause, per le quali un individuo può “sopravvivere” con l’Io non identificato con le proprie sensazioni corporee, vanno ricercate nel passato e nell’evoluzione, o sarebbe meglio parlare di involuzione, delle relazioni significative, poiché è su questo terreno che nascono e possono cristallizzarsi modalità di reazione, che certo si instaurano inizialmente mirando alla sopravvivenza dell’organismo, ma che risultano nella loro disfunzionalità una mutilazione della personalità adulta.
Si inseriscono in tale discorso tutte le situazioni in cui i bambini crescono in ambienti ostili, deprivanti, disorientanti, dove subiscono violenze fisiche o verbali o emotive, etc. Loro, i bambini, non hanno sufficienti strumenti per opporsi ai genitori e, davanti all’ostilità delle figure di riferimento affettivo, si ritrovano sotto scacco sia perché possono essere spaventati e non avere la possibilità di fuggire, sia perché possono sentirsi arrabbiati e impossibilitati ad esprimere il proprio sentire per le temute conseguenze.
In realtà la prima reazione che un bambino ha dinanzi ad una minaccia per la propria integrità fisica è quella di sentire rabbia. Il bambino che prova ad esprimere tale rabbia ed incontra la proibizione o punizione del genitore in risposta a tale espressione, deve reprimere il suo sentire e così si ritrova ad avere paura della sua stessa emozione. La paura del bambino di esprimere la rabbia verso i propri genitori diventa paralisi emozionale per lo stesso da adulto. Tale repressione non viene mai agita per scelta, ma per paura.
Inoltre, per i bambini la paura non è un’emozione contenibile e sopportabile come può esserlo per un adulto, la tensione che si viene a creare è fortissima, così si configura la via d’uscita nel ritiro fisico e psichico, nel rendersi insensibile attraverso la dissociazione dal corpo. Se poi questa dissociazione è solo una frattura o se diviene rottura totale, dipende da svariati fattori valutabili unicamente caso per caso, tra i quali sicuramente incide l’età in cui avvengono le situazioni traumatiche.
Comunque, in tutti i casi, l’organismo deve salvarsi dal sentire che lo paralizza e può farlo solo reprimendo lo stesso sentire, può negarlo o rimuoverlo e di conseguenza dissociarsi in qualche misura dal proprio corpo e dalla realtà, dissociandosi dalla propria paura, dalla propria rabbia, dal proprio senso di colpa.
Le conseguenze di questa dissociazione vengono trascinate nell’età adulta e, anche se gli adulti possono realisticamente provvedere alle proprie necessità, quando si riaprono determinate ferite e viene risvegliata la memoria psicocorporea del bambino impaurito, torna con inevitabile potenza la sensazione di non poter gestire ciò che viene ricordato come devastante. L’adulto che ha congelato la paura e con essa parte di se stesso, evita di affrontare coscientemente il suo problema riaprendo la propria ferita poiché ne porta dentro il segno e la memoria infantile di incontenibilità.
Affrontare qualcosa che si considera incontenibile e ingestibile mette l’individuo dinanzi all’antico rischio di sopravvivenza, affrontare un emozione incontenibile è possibile solo al prezzo del proprio equilibrio psichico. La paura di impazzire è tipica di questi stati dove in realtà ciò che si teme è il fatto di poter perdere il controllo, quel controllo dell’Io che ha salvato il bambino attraverso il ritiro e la dissociazione dal corpo.